Una serata di cacciagione del Lyon Certosa gestita da R. cacciatori
Questo è il commento del Socio Lyon pubblicata sul giornale Dei Confratelli
Due ben noti amici soci cacciatori in veste di fornitori (Gigi Parpajola e Mario Zambelli) e un regista che, guarda caso, di cognome fa Cacciatori e di nome Romolo. Gli ingredienti per una succulenta cena in quel di Teolo presso la consueta trattoria “Da Antonio” ci sono tutti (fagiani, quaglie, germano reale, starna); ma anche l’oca reclama a gran voce il suo posto perchè è San Martino ed è la sua festa (come vittima nel piatto, però…). Il regista creatore del menù: noto enogastronomo, di origini rodigine ma residente a Padova, ha creato quest’anno il menù Expo per i 750 intervenuti della serata di gala a Sandrigo, militando inoltre, e non a caso, nella locale Confraternita del Baccalà. Romolo Cacciatori è docente nazionale per tutti i tre livelli dei corsi di sommelier ed è stato consigliere nazionale della Chaine des Rotisseurs, la più antica e diffusa associazione enogastronomica del mondo, citata già a Parigi nel 1248 e presente in oltre 70 Paesi.
Con tali fornitori, ingredienti ed eno-gastro-registi non poteva che essere un successo. Ai deliziosi piatti in sequenza del menù, sapientemente accostati a vini pertinenti (tra i quali spiccava un oltremodo robusto rosso 14.5°, base sangiovese, prodotto in provincia di Grosseto da un imprenditore padovano) si sono aggiunte le estemporanee digressioni ampliate a 360° dal relatore-regista: dall’importanza della sequenza delle portate, che -ha ammonito- non devono mai annullare o sovrastare i sapori, si è passati a riflessioni sulla fisiologia del gusto e dell’olfatto degne di plauso accademico (senza bacio !), seguite dalla prevedibile polemica nei confronti della cucina vegana, assimilata a credo talebano da parte del nostro maieutico anfitrione. Altrettanto ampie e talora decisamente tecniche le nozioni profuse dal relatore in ambito enologico: dalla derivazione romana dei vini francesi fino alla storia più recente della comparsa in Europa degli sconosciuti parassiti e patogeni Peronospora e Fillossera, che nel 1863 portarono allo sviluppo di tecniche di innesto di vite americana sulla vite europea, salvata in tal modo dal rischio di distruzione; dalla classificazione dei vini italiani in IGT-DOC-DOCG e la differenza dal sistema francese, alla procedura della maturazione in barrique, all’inclinazione del calice per valutare l’ “unghia” periferica lasciata dal vino sulle sue pareti, a riflettere la buona maturazione avvenuta nel barrique. Non sono mancate le amplissime lodi di Cacciatori al Friularo di Conselve (zona Bagnoli), da lui collocato tra i migliori 100 vini rossi del mondo intero nè, a richiesta del pressante uditorio, un sintetico riepilogo della disfatta terminologica (e non solo !) del Tocai friulano nei confronti del vincente rivale ungherese (che però si chiamava Flormentin e non derivava per nulla da un vitigno Tocai, di fatto mai autoctono nell’omonima zona geografica ungherese). Per completare con qualche ulteriore esempio la panoramica della vasta aneddotica citata dal relatore, sembra doveroso citare l’importante ruolo giocato dalle spezie nella cucina medioevale e rinascimentale, a salvaguardia dai cattivi odori dovuti alla precaria conservazione delle derrate, a tutto beneficio della Serenissima che creò la sua fortuna economica anche con il monopolio del commercio del pepe ed altre spezie, simbolo di opulenza in cucina. Abbiamo poi appreso che i piselli erano al tempo merce rara e che addirittura, nel Settecento, i servitori venivano pagati con il prezioso frutto del baccello. E non si può ignorare il fatto che, curiosamente, le carote siano arancioni in quanto esito di un incrocio costruito a gloria della nobile casa regnante olandese degli Orange. Nella sua vis polemica, infine il relatore, ha riservato una mortale stoccata alle trasmissioni televisive di cucina, accusate di diffondere nozioni raccogliticce e, ancor peggio, l’illusoria convinzione che la scienza e l’arte culinaria siano di facile apprendimento ed assicurino rapide scorciatoie per un altrettanto facile successo. Difficile contestare questa tesi di Cacciatori: è probabile che, in caso di risurrezione, Marco Gavio Apicio, patrizio della Roma imperiale e autore di un famoso ricettario, il Maestro Martino di Como, cuoco rinascimentale autore del primo ricettario dell’Europa moderna e, dulcis in fundo, Pellegrino Artusi, da Forlimpopoli, padre tardo-ottocentesco della cucina italiana, assisterebbero con sdegno alle attuali maratone televisive ai fornelli da parte di improbabili quanto improvvisati o rampanti personaggi: coquo ergo sum.
Riccardo Manconi